Nel mio taccuino affronto il tema della mia identità.

Sono nato da una famiglia di migranti e cresciuto nello Zimbabwe con la consapevolezza di non essere considerato parte di questa realtà. Mi prendevano in giro, mi facevano sentire un estraneo. Attraverso il mio lavoro sul taccuino, ho cercato di riconciliarmi con la mia identità, di non rinnegare le mie origini. Ho voluto riaffermare me stesso, rivendicare la mia dignità, anche se non vengo considerato parte del Paese in cui sono nato e di cui sono cittadino.

Una cosa che ho capito durante il workshop è che, quando ci esprimiamo, utilizziamo spesso parole come “noi” e “loro”; più lo facciamo, meno esprimiamo il nostro modo individuale di pensare: iniziamo a ragionare secondo un pensiero collettivo. Ho capito quindi l’importanza di parlare con la mia voce, di dire “io”, e questo mi ha aiutato a chiarire i miei pensieri.

Se guardo al mio lavoro, posso distinguere questioni globali o generali e altre che mi riguardano particolarmente, che mi appartengono e che devo esprimere attraverso una mia voce autentica. Solo così potrò far capire agli altri di cosa parlo e cambiare le cose.

“Sono cresciuto nello Zimbabwe con la consapevolezza di non essere considerato parte di questa realtà.”

Nyadzombe Nyampenza — partecipante AtWork Harare