La città nel giorno blu: Dak’Art 2016 curata da Simon Njami

Simon Njami, Ecriture Infinie

Un paio di settimane fa, il nostro advisor Simon Njami è stato nominato direttore artistico di Dak’Art 2016, la più importante biennale di arte contemporanea del continente Africano. Come amici e compagni di lavoro, ne siamo fieri e felici. La sfida sarà enorme, ma se c’è qualcuno che può raccoglierla e portare Dak’Art a un nuovo livello di consapevolezza e qualità, quel qualcuno è certamente Simon Njami.

Come punto di partenza per l’edizione 2016 di Dak’Art, che ha per titoloLa Cité dans le jour bleu, “La città nel giorno blu”, Simon Njami ha scelto l’estratto di una poesia di Léopold Sédar Senghor:  «La tua voce ci dice la Repubblica, ci dice che erigeremo la città nel giorno blu / nell’uguaglianza dei popoli fraterni. E noi rispondiamo: “Presenti, oh Guélowar”».

“La città nel giorno blu” è una citazione che Simon porta con sé da alcuni anni. In un saggio del 2012 ispirato allo stesso verso scrive: “È impossibile parlare di Africa. È impossibile parlare di Africa nei termini convenzionali del mondo dell’arte o dell’accademia. Perché l’Africa, fin dalla notte dei tempi, è una fantasia. Un vascello fantastico in cui ognuno depone le sue nevrosi, le angosce, le paure, la collera. Come potremmo fare allora per raccontare questo spazio contraddittorio, come possiamo parlare della sua storia e della sua geografia senza riesaminare il suo passato e mettere in discussione quel che credevamo di aver compreso? È urgente disimparare quello che sappiamo dell’Africa. Ricostruirlo con strumenti nuovi. Questi strumenti sono quelli della contemporaneità”.

L’invito a presentare una proposta per Dak’Art 2016, rivolto a tutti gli artisti professionisti del continente e della diaspora, esprime alla perfezione la visione di Simon. Condividiamo ogni singola parola del testo del comunicato, per questo vogliamo condividerlo con voi. Perché non si tratta semplicemente di una call rivolta agli artisti, ma di una lettura filosofica di quel che significa oggi essere “Africano” e di come possiamo iniziare a parlare e capire quest’Africa che di recente è sulla bocca di tutti.

«Risponderanno “presente” coloro che, senza vergogna e senza pudore, oseranno dirsi Africani davanti al mondo intero, disdegnando tutti i pregiudizi e gli sguardi che pesano sul continente. Al contrario: rivendicando le ferite, gli errori, i tentennamenti senza timore di affermare il genio delle loro terre davanti alle risa di scherno degli scettici di professione. Perché, anche a rischio di sembrare scandaloso, affermo che non si nasce Africani, lo si diventa. Diventare vuole dire nascere al mondo, e scoprire se stessi. Vuole dire operare le scelte esistenziali che determineranno il corso della nostra vita. L’unica maniera per afferrare quest’Africa di cui ognuno sembra conoscere la definizione è raccogliere i pezzi sparsi di un puzzle plurimillenario. Diventare comporta l’esprimere al mondo un punto di vista. E non esiste espressione senza linguaggio. Comprendere gli artisti cosiddetti africani significa essere capaci di decifrare il linguaggio originale nel quale ognuno, a modo suo, dice la propria appartenenza al mondo. Perché appartenere a un territorio, e tentare di definirne i contorni, non deve farci perdere di vista il fatto che ogni territorio è innanzitutto una metafora difficile da circoscrivere.»

Buona fortuna a Simon e a Dak’Art 2016. Aspettiamo con trepidazione di vedere il risultato. Iniziate a comprare il biglietto: il prossimo maggio, il posto giusto è Dakar.

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